Dalle avanguardie storiche alle avanguardie statiche. “TG5”,
Il quinto disco di La Tosse Grassa è la consueta incrostazione di loop
rappresi in grado di trasmettere infezioni linguistiche provenienti
dalla più oscura provincia. Anche l’ironia è lorda e appestata dal tanfo
di posture della logica assunte solo in alcuni caratteristici bar ben
individuabili dalla presenza di singolari panni in plastica fiorata a
coprire tavoli da plastica non fiorata. Girone della Merda
racconta di conversazioni orecchiate e di polisemicità indotta da
assenza di pensiero. Se nel girone della merda di pasoliniana memoria i
protagonisti erano indotti a mangiare escrementi di produzione propria
nello stesso girone de La Tosse Grassa assistiamo al processo di
espulsione di ciò che era stato ingurgitato, la merda si fa verbo. E il
verbo si fa carne nel Metanaro, uno sberleffo al vezzo blasé
per lo scrostato e il malaticcio vero cavallo di battaglia dei flaneur
di ogni epoca e di ogni grado di maledizione; Metanaro è un inno alla decadenza tardo industriale e ai detriti intellettuali lasciati dalla piena Tondelliana di qualche anno fa.
La Tosse Grassa non risparmia nessuno, lancia anatemi, apostrofa
senza ritegno, si fa gioco di ogni velleità e ha la serietà per non
averne alcuna. È inutile andare a ricercare i nomi e cognomi (Brondi,
Offlaga Disco Pax, Ligabue) ma non perché la Tosse Grassa non ne faccia,
ma perché ne fa troppi, le citazioni si rincorrono e i riferimenti
esorbitanti ed esagitati fanno di questo brano e di “TG5” la
più grande opera post-moderna fuori tempo massimo mai comparsa in
Italia. E beninteso, senza alcun sarcasmo. Tanto più che “TG5” è
frutto di un'ossessiva cura del frammento sonoro/linguistico. Non
importa sapere da dove proviene cosa perché ogni copia/incolla è la
costruzione di un nuovo mondo in cui ogni riferimento non ha più senso
se non nel nuovo orizzonte. È il caso di Solo Battisti, un
concentrato di luoghi comuni della canzone rock che si lascia apprezzare
per essere un collage dada di frasi estrapolate dalla grande produzione
Battisti/Mogol. Allo stesso modo la costruzione musicale complessiva
fatta di campionamenti selvaggi, ripetitivi, accostati spesso senza
alcuna necessità narrativa ne fanno l’imitazione sguaiata di una
imitazione sguaiata (il pop commerciale vagamente dance).
E da “TG5” se ne esce con la stessa felicità imberbe che ci
accompagnava tornando a casa dopo una giornata passata sulle macchine a
scontro nella festa del paese: le mani nelle tasche vuote e la
sensazione che tutto sarebbe stato diverso se la coda di volpe dei
calcinculo lì in alto non ci fosse sfuggita proprio all’ultimo per pochi
millimetri.
Luca Gori, DISTORSIONI
www.distorsioni.net
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