Non le manda a dire Vanni Fabbri, aka La Tosse Grassa, quando urla,
sbraita, intreccia bestemmie come se niente fosse, attacca a testa bassa
il perbenismo che ci abbrutisce tutti, dichiara guerra a politici,
razzisti e alla vecchia, piccola borghesia. A testimonianza che la cifra
stilistica dell’agitatore maceratese non è cambiata di una virgola, che
passare da “Tg1”, il suo lavoro d’esordio, a “Tg2” è stato un attimo,
che i capisaldi del suo modo di vivere la musica sono sempre gli stessi.
Ed è giusto che sia così: esiste forse qualcuno convinto che un giorno Piero Pelù smarrisca per strada la sua tamarraggine o che Jovanotti
riesca a staccarsi da un orizzonte infestato dalla banalità? Certo che
no, quando si parla di certezze non si può sbagliare, e le certezze
della Tosse Grassa sono le seguenti: ironia, cattiveria e un cut’n’mix
da paura.
Già, perché rispetto all’opera prima di qualche mese fa il taglia e
incolla del Nostro è diventato talmente sofisticato da sconfinare nel
geniale. Tipo: in “Barbara Bobulova” (forse parente, sia pur alla
lontana, di quell’Ana Boranova le cui gesta furono decantate dai Vincisgrassi) confluiscono come se niente fosse i Doors e la sigla dell’“Almanacco del giorno dopo”, “Sono io la falsa modestia” accoglie gli acuti di Ian Gillan intersecandoli al primissimo Franco Battiato.
Geniale, sì, geniale e basta. Con esempi che potrebbero continuare, tra frammenti rubati a Phil Spector o all’inno di Mameli, citazioni degli Skiantos
e tanti altri furti, a volte così difficili da riconoscere che il
recensore di turno a in certo punto è costretto ad alzare bandiera
bianca. Rimane il rammarico per una resa sonora non proprio ai massimi
livelli ma, si sa, il lo-fi è fico.
E se poi qualcuno dovesse rimanerci male anche per l’eccesso di cazzi,
fighe (pardon, fiche) e quant’altro (leggasi bestemmie) sbattuti tra le
liriche del disco (chissà cosa ne direbbe Sigmund Freud) si potrebbe
ribattere, non senza attingere a quella banalità accennata poco sopra,
che a essere volgare è il nostro modo di vivere e non il povero Vanni
Fabbri. Oppure di mettersi il cuore in pace e di non rompere i coglioni.
Giuseppe Catani, ROCKIT
www.rockit.it
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